LE SORTI DELL’ISTRUZIONE DEGLI ADULTI IN BALIA DELLA SPENDING REVIEW
A cura di Domenico Piperis*
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Ho
letto di recente l’opera Rapporto
sull’istruzione pubblica1
composta nel 1792 dal matematico e filosofo francese Giovanni Antonio
Caritat, marchese di Condorcet, e l’ho trovata così sorprendente
per l’attualità e la chiarezza delle idee espresse tanto da
sentirmi quasi in dovere di riportarla alla memoria (o forse
all’attenzione?) dei nostri politici e governanti affinché, a
partire da essa, possano riacquistare quella “lucidità” che la
"spending review" sta piano piano lacerando.
La
spending review produce
i
suoi effetti sullo stato sociale: essa come un "virus" lo
attacca progressivamente e inesorabilmente, logorandolo fino a
distruggerlo.
L’istruzione
in generale, ma in particolare l’istruzione degli adulti (o, forse,
quello che ne resta), sembra essere l'"organismo" nel quale
il virus riesce a sviluppare tutta la sua potenza, dando il meglio di
sé.
Infatti,
in tutta Italia si assiste al continuo proliferare di bollettini di
guerra riguardanti la chiusura ingiustificata di classi di corsi
serali: Foggia, Cagliari, Torino, Milano, Bari ecc.. Il MIUR ordina e
gli USR obbediscono. La liquidazione della scuola serale è stata
decisa: si comincia negando, nell'organico di diritto, le classi
prime sapendo che questa negazione non è per nulla momentanea in
quanto si perpetuerà l’anno seguente causando l’assenza delle
classi seconde e così di seguito fino a determinare la chiusura dei
corsi serali. Ma c’è poco da stare tranquilli perché se passasse,
attraverso la vicenda della scuola serale, il messaggio che la negata
autorizzazione di classi sia una legittima operazione amministrativa,
ben presto ad essa si assocerebbe anche la mancata autorizzazione
delle classi del diurno, tramutandosi in un iter di ordinaria
burocrazia.
Tutto
ciò sta avvenendo contro ogni logica di promozione sociale; ne è
un esempio la recente proposta di legge sul lavoro del governo Monti
che almeno in apparenza, da un lato, riconosce l'importanza
dell'istruzione permanente degli adulti (v. Capo VII Art. 66
del disegno di legge n. 3249 del ministro del lavoro Fornero)
ma, dall’altro, senza fare tanti complimenti, ordina la chiusura di
classi di scuole serali. Se questo modo di agire non è un ignobile
esempio di doppio gioco politico, allora o è incoscienza o è
incompetenza.
In
questa situazione, il tentativo di "illuminare" le menti
dei nostri politici è il più urgente sforzo
a cui ognuno dovrebbe prender parte, traendo forse ispirazione e
speranza da una mente illuminata come lo era quella di Condorcet,
avendo il merito di essere l’autore di un proficuo programma di
istruzione degli adulti al fine di contrastare l’analfabetismo di
ritorno:
"Offrire
a tutti gli individui della specie umana i mezzi per provvedere ai
propri bisogni, per assicurarsi il benessere, per conoscere ed
esercitare i propri diritti, intendere ed adempiere i propri doveri;
assicurare a ciascuno l'opportunità di perfezionare la propria
abilità, di divenire capace di esercitare le funzioni alle quali ha
diritto di essere chiamato, di sviluppare nel più ampio modo le doti
che ha ricevuto dalla natura; e in tal modo stabilire tra i cittadini
un'uguaglianza di fatto e rendere reale l'uguaglianza politica
riconosciuta dalla legge:
tale
deve essere il primo scopo d'un'istruzione nazionale; sotto questo
punto di vista essa è,
per
il potere politico, un obbligo di giustizia."2
[…]"Noi
abbiamo osservato, infine, che l'istruzione non deve abbandonare i
giovani nel
momento
in cui escono da una scuola; che essa deve abbracciare tutte le età
giacché non ce n'è alcuna in cui non sia utile e possibile
apprendere e che questa seconda istruzione è tanto più necessaria
in quanto quella dell'infanzia è
stata
contenuta in limiti assai ristretti.
Questa
è
una
delle cause principali dell'ignoranza in cui le classi sociali più
povere sono immerse oggi; la possibilità di ricevere una prima
istruzione mancherebbe loro ancor meno di quella di conservarne i
vantaggi.
Noi
abbiamo voluto che nessun cittadino potesse dire: la legge mi
assicurerebbe una completa uguaglianza
di
diritti, ma mi vengono rifiutati i mezzi per
conoscerli.
Io non devo dipendere che dalla legge, ma la mia ignoranza mi fa
dipendere da tutto ciò che mi circonda. Mi si è invero insegnato
nella mia infanzia ciò che avevo bisogno di sapere, ma, obbligato a
lavorare per vivere, quelle prime nozioni
si sono ben
presto
cancellate dalla mia memoria, e non mi resta ora che il dolore di
sentire, nella mia ignoranza, non la volontà della natura ma
l'ingiustizia della società."3
[…]“Così
l'istruzione deve essere universale, deve estendersi, cioè, a tutti
i cittadini. Deve essere ripartita con tutta l'uguaglianza consentita
dagli ineliminabili limiti del bilancio, dalla distribuzione della
popolazione sul territorio, e dal tempo più o meno lungo che i
fanciulli possono destinarle.
Essa
deve,
nei
suoi diversi gradi, abbracciare l'intero sistema delle conoscenze
umane e assicurare agli uomini, in tutte le età della vita,
l'opportunità di conservare le proprie conoscenze e di acquistarne
di nuove.
Infine,
nessun potere pubblico deve avere l'autorità di impedire lo sviluppo
di verità nuove o l'insegnamento di teorie contrarie alla sua
particolare politica o ai suoi interessi contingenti.
Tali
sono i principi che ci hanno guidato nel nostro lavoro."4
I
lettori forse riterranno forzato il raffronto della attuale
situazione italiana con quella temporalmente lontana
della Rivoluzione francese in cui si soffriva la mancanza di
un'istruzione pubblica come una delle più gravi piaghe del sociale
tale che se non fosse stata risolta, o quantomeno affrontata, avrebbe
potuto compromettere persino le più nobili istanze rivoluzionarie
borghesi: la borghesia aveva bisogno di un ceto popolare istruito e
affrancato dalle credenze di varia natura e agì coerentemente per
realizzare tale obiettivo. Ma oggi? Cosa “ci” sta accadendo? Mio
malgrado, anzi, mi correggo, nostro malgrado, questa situazione
potrebbe essere più vicina
di quanto crediamo, pian piano potrebbe tornare ad essere
protagonista della storia: anche oggi infatti, nonostante in
sembianze diverse, si ri-presenta il rischio che la situazione
economica e sociale si evolva ai danni delle classi produttive,
condannandole inesorabilmente alla sparizione della cultura, del
diritto ad acculturarsi. La crisi economica-finanziaria attuale è
una crisi di sovrapproduzione e ciò costringe, da una parte, le
aziende a chiudere poiché sconfitte dalla concorrenza reciproca e,
dall’altra, il Governo, per evitare pericolosi rivolgimenti
sociali, a collocare gli operai in cassa integrazione (ovvero, a
carico della collettività, dello Stato). Ora, la ricchezza non può
essere creata dal nulla, pertanto a generarla ci pensa la fiscalità
generale in continuo aumento, poi la battaglia contro l'evasione
fiscale ma, soprattutto, il taglio (saccheggio!) della spesa pubblica
(previsto dalla
spending review).
Si
sa, per comune e triste esperienza, che soprattutto in tempo di crisi
è il settore pubblico a farsi carico della risoluzione dei problemi
del sistema produttivo nazionale, acutizzati quasi sempre e
dall'incompetenza dei governanti di turno e dalla loro scarsa
lungimiranza. Il settore pubblico (e al suo interno quello del
pubblico impiego) è considerato da questi ultimi un "territorio
di caccia" fin troppo facile da aggredire (lo sanno bene sia i
politici disonesti sia quelli armati dalle più sante intenzioni),
tant’è vero che questa pratica è realizzata sistematicamente al
posto di tassare i grandi patrimoni o i capitali esportati
illegalmente all’estero. La società civile non può allora
assistere inerme a questo sciacallaggio che sottrae ricchezza alla
collettività per salvaguardare gli interessi del capitale!
Sarà
pure il segno dei tempi in cui viviamo ma, avendo
tutti noi già appreso dal ministro Fornero che il lavoro non è più
un diritto, aspettiamo fiduciosi di apprendere, tra non molto tempo,
che anche l'istruzione non è più un diritto costituzionalmente
garantito.
Contro
queste "moderne" e "confortanti" prospettive
sociali, bisogna ripetere a gran voce che la Scuola non può e non
deve essere oggetto né di depauperanti accordi con le parti sociali
(è il caso dell'art.
66 del
disegno di legge n. 3249
riguardante l'Apprendimento
permanente, in pratica un regalo del
Governo ai sindacati concertativi per vincere la loro resistenza
contro norme
dubbie)
né di riforme al ribasso come la riforma Gelmini o quella dei
C.p.I.A. (Centri per l’Istruzione degli Adulti).
Convinto
che solo il resistere
alle manovre dismettenti lo stato sociale potrà impedire ai
malintenzionati di consegnare l’Istruzione
Pubblica italiana alla "Storia", chiudo con i profondi e
sempre attuali pensieri di A. Gramsci, racchiusi
nei "Quaderni
dal carcere"5:
[…]"Si
può osservare in generale nella civiltà moderna tutte le attività
pratiche sono diventate più complesse e le scienze si sono talmente
intrecciate alla vita che ogni attività pratica tende a creare una
scuola per i propri dirigenti e specialisti e quindi a creare un
gruppo di intellettuali specialisti di grado più elevato, che
insegnino in queste scuole. Così,
accanto al tipo di scuola che si potrebbe chiamare 'umanistica', ed è
quello tradizionale più antico, e che era rivolta a sviluppare in
ogni individuo umano la cultura generale ancora indifferenziata, la
potenza fondamentale di pensare e di sapersi dirigere nella vita, si
è andato creando tutto un sistema di scuole particolari di vario
grado, per intere branche professionali o per professioni già
specializzate e indicate con precisa individuazione."6
[...]
"Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola
'disinteressata' (non immediatamente interessata) e 'formativa' o di
lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori
e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire
professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali
specializzate in cui il destino dell'allievo e la sua futura attività
sono predeterminate."7
[...]
"Nella scuola
attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della
concezione della vita e dell'uomo, si verifica un processo di
progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè
preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il
sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata.
L'aspetto più paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare
e viene predicata come democratica, mentre invece non solo è
destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in
forme cinesi."8
___________________________________________
1
Condorcet,
"Sull’istruzione pubblica", Arti Grafiche Longo e
Zoppelli – Treviso - Ottobre 1966
2
ivi pag. 31
3
ivi pagg. 34-35
4
ivi pag. 35
5
Antonio Gramsci, "Quaderni dal carcere", volume terzo ,
Giulio Einaudi editore – Torino – 1977
6
ivi pag. 1530
7
ivi pag. 1531
8
ivi pag. 1547
* Docente presso il Corso serale - Progetto “Sirio” - dell'IISS "G. Marconi" di Bari
Articolo già pubblicato sulla rivista online Orizzonte Scuola