domenica 6 settembre 2009

Un “appello” ai sindacati di “massa…cro”

a cura di Domenico Piperis, membro della direzione del coordinamento nazionale per la difesa e la promozione delle scuole serali pubbliche
La degenerazione/involuzione dei “sindacati di massa” in “sindacati di massacro” è ormai avvenuta: essi non sono più in grado di sostenere e difendere i lavoratori giacché quest’ultimi sono sempre più “massacrati” dai cattivi provvedimenti governativi.
Così, anche se è amaro ammetterlo, i sindacati non possono più proclamarsi rappresentanti della “massa lavoratrice” ma solamente di “gente massacrata” della quale il massacro non solo non ha impedito ma anche indifferentemente permesso.
Per capire di cosa sto parlando basta citare i seguenti dati: 42500 insegnanti e 15000 ATA in meno in un solo anno; migliaia di cattedre in meno nei Tecnici e Professionali a causa delle recenti “riforme”; forte riduzione degli organici delle Scuole serali per la riforma dei CPIA (centri permanenti di istruzione degli adulti); aumento nella scuola superiore degli alunni per classe da 21,8 a 22,1 e in quelle dell'infanzia a 24 bambini per classe; classi con più di trenta alunni e/o con più di un alunno disabile.
Tutto questo è davvero un disastro.
Siamo pienamente legittimati a chiederci perché proprio in Italia sta accadendo tutto questo nonostante in essa si sia sempre potuto contare su un sindacalismo storico di grande potenzialità, attivismo e di presenza capillare nella società?
La storia ci insegna che i sindacati per portare avanti le istanze dei lavoratori avevano un arma formidabile e di grande valore democratico: lo sciopero.
Allora, perché lo sciopero generale del 30 ottobre u.s. (indetto congiuntamente da Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals Confsal e Gilda degli insegnanti), a cui pure aveva aderito la maggior parte del personale scolastico, non ha impedito il suddetto “massacro”?
E ancora, perché questo governo si dimostra così refrattario agli scioperi? Perché tanta arroganza del potere (tanto che il ministro Renato Brunetta può, senza minimamente scomporsi, affermare: «I nostri insegnanti lavorano poco, quasi mai sono aggiornati e in maggioranza non sono neppure entrati per concorso ma grazie a sanatorie. E poi 1.300 euro sono comunque due milioni e mezzo di vecchie lire, oggi l’insegnamento è part-time e come tale è ben pagato»)?
La risposta è semplice: lo sciopero non fa più paura a nessuno perché è considerato non il principio di una lunga e metodica serie di azioni di lotta, ma semplicemente l’epilogo di un’analoga serie di MINACCE SINDACALI fine a se stesse.
A cosa serve allora, ai sindacati, proclamare uno sciopero generale se poi quest’ultimo non raggiunge gli obiettivi prefissati?
Serve per controllare la protesta affinché questa non sfugga loro di mano e non “degeneri”. In questo senso lo sciopero è utilizzato più come uno spauracchio che come una prassi irrinunciabile di lotta sindacale.
Quindi, un sindacato che ritiene lo sciopero una “routine”, che chiama i lavoratori che adottano forme di lotta sindacale incisive “recordman della conflittualità sindacale”, che considera i cittadini “ostaggi” di coloro che esercitano il sacrosanto diritto democratico di sciopero, che privilegia l’azione sindacale partecipativa a quella conflittuale, non è affatto credibile.
Perciò le recenti azioni di lotta spontanee intraprese dai docenti precari (a Trapani e a Salerno un gruppo di precari ha occupato la sede dell'Ufficio scolastico provinciale; a Venezia si è svolto un sit-in di protesta, proteste a Caserta e Benevento, ecc.) sono lo svelamento dell’inutilità del sindacato odierno.
Per tutti questi lavoratori scioperanti, il tempo dell’illusione è finito: più nessuno crede ancora di far parte di un sindacato capace di difenderli dalle insidie governative.
Se da una parte i sindacati fanno di tutto affinché i lavoratori non ricomincino a considerare lo sciopero come l’arma più efficace per far loro recuperare la forza contrattuale perduta, dall’altra i lavoratori fanno di tutto per dimostrare di essere disposti ad azioni di lotta sempre più incisive.
Fino a quando il sindacato non prenderà coscienza di questa propensione (ed è già assurdo che debba essere il sindacato a prendere coscienza…) e non la finirà con la politica di collateralismo con il potere (che nei fatti ne avvalla le scelte, limitandosi, se può, solo a contenerne la portata devastatrice), la scuola pubblica non potrà risollevarsi.
Che il sindacato riprenda ad essere quello che era storicamente, altrimenti, la smetta di vivere di rendita cioè di continuare a fregiarsi di un titolo quale “sindacato storico” che oggi non merita senza riconfermarne le grandi imprese che, a fianco dei lavoratori, esso ha condotto e ha vinto nel tempo.
Organizzazioni vuote, come queste odierne, di obiettivi e promesse da mantenere non servono a nessuno.
Domenico Piperis