domenica 18 marzo 2012

QUESTIONI DI TEMPO. LA SCUOLA SERALE AI TEMPI DI GROUPON.

A cura di Rocco Rolli *

“Il tempo passa anche in Val di Fassa, anche in una cassa, anche in una casa bassa, nessuno lo può fermare..” recitava mia figlia qualche anno fa, quando frequentava la scuola elementare, prima che la famigerata “riforma” Moratti demolisse uno dei modelli didattici più funzionali in Europa. Quando incontro le bravissime maestre di mia figlia, per prima cosa mi dicono “caro Rolli, non abbiamo più tempo”.

Intanto nelle scuole serali il tempo delle strombazzateriforme” si è fermato aspettando i regolamenti del modello definito dal decreto del 2007. Che ovviamente non arriveranno, perché non vi è dubbio che quella proposta non era e non è praticabile: perché implica un incremento delle dirigenze oggi impossibile; perché i numeri stabiliti per il dimensionamento darebbero luogo ad autonomie ingestibili per numero di sedi e eterogeneità degli studenti . Perché i tecnici e i professionali – per tutto il percorso di studi – devono necessariamente restare dove ci sono i laboratori e così via. Cose dette e ridette centinaia di volte.

Allora per gli scienziati della didattica dipendente dall’economia, non resta che intervenire sul tempo. La capacità della scuola serale di orientare alla acquisizione di saperi e saper fare specifici; l’opportunità di sperimentare conoscenze nuove, di approfondirle in senso teorico e di praticarle, per aiutare gli adulti all’acquisizione di solide competenze per costruirsi una prospettiva di futuro, non sembra faccia parte al momento di questo orizzonte politico e culturale.

Tutto si focalizza sul risparmio di tempo: il serale deve avere il 70% dell’orario del diurno; che significa proporre, per gli adulti, un orario di appena 20-22 ore settimanali. (Se a qualcuno interessa fra riduzione di anni e riduzione di ore, il taglio delle cattedre dovrebbe essere prossimo al 50 % di quelle attuali). Un risparmio straordinario su un settore numericamente molto piccolo o un danno sociale enorme su un settore che dovrebbe essere visto come strategico, considerato l’alto numero di giovani adulti senza diplomi e con il dirompente processo di respingimento degli adulti dal mercato del lavoro? Senza considerare l’immiserimento delle storie e delle esperienze di innovazione didattica e organizzativa che ha coinvolto gli insegnanti delle scuole serali solo fino a ieri. È come se il luogo comune “che studiare tanto non serve” e “andare a scuola è tempo perso” abbia fatto proseliti anche fra i nostri politici, i funzionari ministeriali e magari anche fra un certo numero di pedagogisti e insegnanti.

Secondo le stime basate su esperienze internazionali, l’allungamento di tre anni dell’istruzione media della forza lavoro è associata a un incremento del tasso di crescita di un paese di circa l’1 per cento ogni anno. Significa essere di quasi un quarto più ricchi nel corso di vent’anni.[1]

E allora perché tagliare risorse e tempo su questo settore, se i risparmi economici sono ridotti e tutti possiamo essere d’accordo, almeno a parole, che di questo settore della formazione non si può fare a meno, perché ci sono gli obiettivi di Lisbona da rispettare e un paese civile non può… etc.

Che sia un fattore culturale? Che il tempo a scuola è visto come tempo sottratto alla famiglia, alla televisione, alla pizzeria. E non tempo aggiunto alla conoscenza, alla socializzazione, alla cultura. E perché questo è avvenuto in così poco tempo. Dei miei studenti di dieci anni fa, mai nessuno mi ha chiesto di fare in fretta, di fare un3x2 o un 2x1. Negli ultimi due tre anni, al momento dell’accoglienza, la prima richiesta è: “posso prendere il diploma in due anni? Posso fare quarta e quinta insieme”. Alla dimostrazione del primo dubbio, l’affondo è: “ma in quella scuola in 2 o 3 anni prendo il diploma”. Perché è successo questo? E perché ai miei studenti di quinta le 28 ore settimanali non bastano e mi chiedono di andare a scuola anche di sabato?

Le scuole private da sempre hanno offerto questi percorsi abbreviati: ma a pagamento. D’altra parte non è il bisogno di formazione o di nuove conoscenze che caratterizza quei percorsi di studio; ma del pezzo di carta subito. Varrebbe allora la pena, di porre la seguente domanda: che scenario educativo avremmo avuto in questo decennio se sulle logiche abrogative e riduttive, avessero prevalso logiche autenticamente innovative. Se alle logiche del sapere spezzatino, pronto e in pillole, si fosse lavorato su strategie didattiche utili a sviluppare competenze che richiedono più tempo d’aula quando necessario, insieme all’uso delle nuove tecnologie funzionali alla specificità dell’educazione e istruzione degli adulti e la formazione a distanza. La risposta renderebbe chiara la necessità di recuperare il tempo perduto. Ma forse i tempi non sono ancora maturi. Per esempio, nella terra dei Lagrange e dei Peano, non poteva mancare il colpo di genio sull’uso del tempo. Il tempo per imparare si può ridurre intervenendo non sulle strutture della conoscenza, o sul come si impara, (saperi fondanti, didattica breve), ma direttamente sui numeri. La terra che ha inventato il tempo prolungato, poteva non inventare il tempo accorciato?

Infatti, con i corsi Polis, invenzione tutta piemontese, è possibile l’accesso al diploma di scuola secondaria in soli 3 anni e con un carico di studio annuale, valido per un biennio, di 610 ore; come non bastasse circa 300 di queste 610 ore si svolgono presso i privati della Formazione professionale. Un modello di sostanziale privatizzazione dell’istruzione che viene presentato come esempio virtuoso di flessibilità e legame col territorio. Mentre non è altro che un modello improntato alla banalizzazione dei contenuti (si pensi che alla fisica del primo biennio si riserva un modulo di circa 60 ore mentre per la matematica c’è un modulo di 80 ore.) Nel percorso per Geometri, con 300h ottieni la terza e la quarta; con 65h si svolgono i due anni di Tecnologia delle Costruzioni e con 85h i due anni di Costruzioni. La perla organizzativa è questa, (verificare sui loro siti web la presentazione del progetto, la mia sintesi è certamente ostile): il CTP con sede in una scuola media fa un accordo con una scuola media superiore senza serale; in questo modo il dirigente presta a sua scelta i docenti; il loro intervento, circa 6 ore, è pagato oltre le 18 ore di cattedra svolte al diurno. Ciò determina la scomparsa di ore di insegnamento e di cattedre, proprio in questo momento di precarizzazione e perdita di posti di lavoro. C’è un sindacato o un dirigente scolastico in questo paese che si domanda se questo è eticamente corretto? Paradossalmente, nella flessibilità più sfrenata, il Polis è un modello più rigido e schematico di quanto si faccia oggi nei corsi serali. Oggi lo studente di una scuola serale, con le sperimentazioni Sirio ed Aliforti, può:
  • inserirsi in qualunque anno di corso e contare su percorsi individualizzati;
  • operare il riconoscimento dei crediti didattici realmente posseduti;
  • valorizzare i percorsi, anche parziali, di istruzione formale e/o informale;
  • modularizzare i contenuti delle materie per garantire l’accumulo individuale dei crediti scolastici;
  • utilizzare le nuove tecnologie, in primo luogo la FAD, per garantire solidi ancoraggi a frequenze scolastiche forzatamente irregolari;
  • fare un percorso regolare, quando necessario, come lo è per la maggior parte degli studenti.
Però i corsi Polis, a differenza di questi modelli, rispondono alla necessità prospettate dal decreto, cioè la riduzione delle materie e degli organici, poco importa se aprono necessariamente alla svalutazione del percorso di studio e preludono alla cancellazione del valore legale del diploma finale. C’è da sperare, almeno, che nessuno di coloro che oggi consentono questo scempio vengano poi a lamentare i pessimi risultati della scuola italiana nelle indagini OCSE-PISA, magari per giustificare ulteriori interventi peggiorativi.

Intanto, finché ci sarà concesso, ai nostri allievi racconteremo che l’offerta Groupon, di tre massaggi rigenerativi al prezzo di uno, può funzionare sul corpo, ma con la mente è un po’ più complicato. E ai nostri pochi interlocutori attenti possiamo dire con franchezza che tutto ciò non è serio. Che non si può permettere che chiunque adotti criteri discrezionali e locali, si crei il proprio modello scolastico senza riferimenti a standard scientifici, verificati e accertati, e inquini l’offerta formativa pubblica.

[1] Daniele Checchi, Scelte di scolarizzazione ed effetti sul mercato del lavoro. Università degli studi di Milano

(*) Docente e coordinatore presso il Corso serale - Progetto “Sirio” - dell'I.T.G. "G. Guarini" di Torino. Portavoce della RETE SCUOLE SERALI PUBBLICHE di Torino

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